Compri platessa senza controllare questo dettaglio, ecco perché stai rischiando senza saperlo

La platessa che acquistiamo al supermercato nasconde spesso informazioni cruciali che potrebbero modificare radicalmente le nostre scelte d’acquisto. Mentre ci soffermiamo sul prezzo e sulla data di scadenza, raramente prestiamo attenzione a un dettaglio fondamentale: da dove arriva realmente questo pesce piatto così apprezzato sulle nostre tavole. La provenienza geografica della platessa influenza non solo la qualità nutrizionale del prodotto, ma anche il livello di sicurezza alimentare e l’impatto ambientale legato alla sua pesca.

Perché la provenienza della platessa fa davvero la differenza

Non tutte le platesse sono uguali. Quelle pescate nel Mar Baltico presentano caratteristiche organolettiche e profili di contaminanti diversi rispetto agli esemplari provenienti dall’Atlantico nordorientale o dal Mare del Nord. Le acque in cui vivono questi pesci influenzano direttamente l’accumulo di contaminanti ambientali come diossine, policlorobifenili (PCB) e metalli pesanti come il mercurio. Zone marine soggette a maggiore inquinamento industriale o con minor ricambio idrico tendono a produrre pescato con concentrazioni più elevate di questi contaminanti.

La normativa europea impone l’indicazione della zona FAO di cattura, ma questa informazione viene spesso riportata con codici poco comprensibili per il consumatore medio. Interpretare cosa significhi “FAO 27” o distinguere tra le diverse sottozone richiede competenze tecniche che la maggior parte degli acquirenti non possiede.

Il labirinto delle etichette: cosa cercano di dirci (e cosa no)

Quando leggiamo “pescato nell’Atlantico nordorientale” su una confezione di platessa surgelata, l’informazione appare rassicurante ma resta molto generica. Questa macro-area include acque con caratteristiche molto differenti: dai freddi mari norvegesi alle coste della Biscaglia, passando per il Mar Baltico e il Mare del Nord. Alcune di queste zone sono soggette a rigidi protocolli di monitoraggio ambientale, altre meno.

Le norme sull’etichettatura consentono una certa ambiguità. L’indicazione può limitarsi alla zona FAO principale senza specificarne la sottozona, lasciando il consumatore senza dettagli significativi. Tale imprecisione facilita la flessibilità commerciale ma riduce la trasparenza verso chi acquista.

Codici e sigle: decifrare il linguaggio nascosto

La zona FAO 27 corrisponde all’Atlantico nordorientale, ma comprende almeno quattordici sottozone con codici alfanumerici specifici. Una platessa proveniente dalla sottozona 27.3.d (Mar Baltico centrale) presenta un rischio di contaminazione generalmente superiore rispetto a una pescata nella 27.4.a (Mare del Nord settentrionale), a causa delle diverse condizioni ambientali di questi bacini.

Queste specifiche raramente sono riportate in modo evidente o leggibile sul packaging. Spesso si trovano in caratteri microscopici o in abbreviazioni che richiedono una guida per essere comprese.

Controlli sanitari: non tutti i mari offrono le stesse garanzie

I sistemi di controllo sulla salubrità del pescato variano significativamente tra i paesi europei e, ancor più, tra Stati membri UE e paesi extra-UE. La platessa importata da regioni con standard di monitoraggio meno rigorosi può presentare rischi maggiori, anche se formalmente rispetta i limiti vigenti.

Gli stock ittici della platessa sovrasfruttate vengono regolarmente valutati per determinarne lo stato di salute e la sostenibilità. Alcune popolazioni risultano in declino, mentre altre sono gestite in maniera più equilibrata. Acquistare platessa senza conoscerne l’origine può contribuire, in modo inconsapevole, al depauperamento di stock già compromessi.

Le analisi che non vediamo

Dietro ogni lotto di platessa dovrebbero esistere analisi periodiche sui contaminanti ambientali. La frequenza e la qualità di questi controlli dipendono dalle autorità competenti nei diversi paesi di origine. Alcuni stati membri UE adottano protocolli molto rigorosi, mentre altri rispettano solo i controlli minimi richiesti dalla normativa comunitaria.

Il consumatore finale non ha accesso diretto a questi dati, e l’informazione in etichetta raramente riflette queste differenze di sicurezza alimentare.

Sostenibilità ambientale: un aspetto invisibile ma determinante

La pesca della platessa utilizza diverse tecniche, tra cui la pesca a strascico, che ha impatti ambientali rilevanti. Questa pratica può disturbare seriamente i fondali marini e catturare accidentalmente specie non bersaglio (il cosiddetto bycatch). Le normative che regolano queste tecniche variano molto tra le diverse zone di pesca.

Scegliere platessa proveniente da aree con gestione sostenibile certificata significa sostenere pratiche più responsabili. Tuttavia, senza informazioni chiare sulla provenienza specifica, effettuare una scelta consapevole diventa molto difficile.

Strategie pratiche per scelte più informate

Di fronte a questa complessità, il consumatore attento può adottare alcune strategie operative. Verificare sempre la presenza delle informazioni obbligatorie in etichetta rappresenta il primo passo: nome scientifico della specie, zona di cattura, metodo di produzione e attrezzo di pesca devono essere indicati per legge.

Quando l’etichetta riporta solo codici generici, è consigliabile chiedere maggiori dettagli al personale del banco pescheria o al servizio clienti. I rivenditori hanno accesso a documentazione più completa e, sollecitati dalle richieste dei consumatori, potrebbero migliorare la comunicazione. Esistono anche applicazioni e database online che permettono di verificare lo stato degli stock ittici e la sostenibilità delle popolazioni di platessa. Consultare queste risorse prima dell’acquisto richiede qualche minuto, ma offre elementi di valutazione importanti per un consumo consapevole.

La trasparenza nella filiera ittica è un obiettivo ancora parzialmente raggiunto. Pur con i progressi della normativa europea, permangono ambiguità che limitano la capacità del consumatore di compiere scelte pienamente consapevoli. La pressione dal basso, tramite richieste esplicite di maggiore chiarezza, rappresenta uno strumento efficace per ottenere etichette più precise e comprensibili. Ogni domanda al negoziante e ogni confezione lasciata sugli scaffali per mancanza di informazioni concorrono a promuovere una cultura del consumo più responsabile e informato.

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